Tradizionalmente, l’obbligo del medico che assume in cura un paziente è
stato sempre concepito non come il dovere di far conseguire al paziente
il risultato sperato, consistente nella guarigione o comunque in un
miglioramento del proprio stato di salute, ma semplicemente come impegno
ad un comportamento professionalmente adeguato.
tale impegno, espressione dello standard medio richiesto dal suo settore
di competenza, va riferito allo specifico caso clinico sottoposto alla
sua attenzione indipendentemente dal raggiungimento o meno della
guarigione e/o del miglioramento della salute del paziente.
Alla luce di queste considerazioni, sino ai primi anni 90’, dottrina e
giurisprudenza erano concordi nel ritenere che a carico del medico
sussistesse un obbligazione di mezzi nei confronti del paziente e non
anche un obbligazione di risultato.
Obbligazione di mezzi:
Si definisce obbligazione di mezzi l’obbligo giuridico di garantire una
corretta e diligente esecuzione di una determinata opera ma non anche il
risultato cui l’attività è finalizzata; conseguentemente, il mancato
raggiungimento del risultato non comporta nessun inadempimento e nessuna
responsabilità del soggetto che ha realizzato la condotta.
Obbligazione di risultato:
Si definisce obbligazione di risultato l’obbligo giuridico di
raggiungere il risultato promesso, con la conseguenza che solo in questo
momento il debitore sarà liberato e potrà ottenere, se previsto, il
compenso per l'attività svolta.
Tuttavia, tale impostazione, con riferimento all’attività sanitaria,
comportando a carico del medico una semplice obbligazione di mezzi, si
rivelava assai svantaggiosa per il paziente e ciò per tre ragioni
fondamentali.
Seguendo il precedente orientamento, il paziente che riteneva
di aver subito un danno e che intendesse richiedere un risarcimento del danno
subito, avrebbe dovuto dimostrare non tanto l’esito infausto dell’intervento
medico bensì lo scorretto e negligente esercizio da parte del medico della
propria attività, in violazione delle leggi scientifiche del suo settore.
Avrebbe poi dovuto fornire l’ulteriore dimostrazione che il danno subito fosse
stato causato proprio dallo specifico comportamento negligente del medico.
Questo legame tra la condotta del medico ed il danno subito dal paziente viene
giuridicamente definito nesso di causalità.
In terzo luogo, anche laddove fosse riuscito a fornire tali prove, il paziente
avrebbe dovuto dimostrare che il medico avesse agito con dolo o colpa grave e,
quindi, con consapevolezza e volontà da parte del medico di arrecare un danno
ovvero per errore, negligenza, imperizia o colpa.
A sostegno di tale interpretazione trovava generale applicazione l’art. 2236
c.c., secondo cui “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di
particolare difficoltà, il prestatore d’opera (nel nostro caso il medico) non
risponde dei danni, se non nel caso di dolo o di colpa grave”.
La casistica riportata dalla giurisprudenza in tema di colpa grave del medico è
estremamente ampia riportiamo, di seguito, i casi più eclatanti:
1) Medico che abbia somministrato anestetico locale, rivelatosi fatale per il
paziente, senza aver previamente accertato le condizioni del paziente (Cass. n.
2141/1988);
2) Medico specializzato in ortopedia per aver provato un intervento di alta
chirurgia neoplastica (Cass. 2428/1990);
3) Medico che abbia omesso di informare una donna sul possibile esito negativo
dell’intervento abortivo cui si era sottoposta, nel caso in cui il paziente,
dopo l’intervento, aveva abbandonato l’ospedale (Cass. n. 6464/1994);
4) Medico che abbia omesso di rilevare una fattura del femore (Cass. n.
8845/1995);
5) Medico primario che, essendo in ferie, abbia ritardato un intervento
indifferibile, causando danno al paziente (Corte dei Conti, n. 100/A 1996);
6) Medico che, chiamato ad intervenire chirurgicamente sul trasferimento del
seno, decida di esportare intera ghiandola mammaria senza preventivamente
seguire un esame istologico intraterapeutico (Cass. n. 1233/1998);
7) Medico che non abbia controllato la completezza e l’esattezza del contenuto
della cartella clinica redatta dai colleghi di pronto soccorso (Cass.
12273/2004);
8) Medico che abbia affidato ad un inesperto assistente sociale un malato grave
di mente, nel caso di suicidio del malato non può invocare, quale causa
eccezionale, il deficit di sorveglianza del malato da parte dell’assistente
sociale (Cass. n. 10435/2004);
9) Caso di scuola dottrinale: garza dimenticata nello stomaco del paziente
operato di pancreatite.
La difficoltà della prova nei casi di malasanità:
A fronte dell’eccezionalità dei casi di colpa grave del medico, si capisce bene
che per il paziente che avesse subito un danno risultava difficilissimo
dimostrare la responsabilità del medico.
Poiché il paziente avrebbe dovuto dar prova della negligenza nell'esercizio
dell’attività medica secondo le regole dello specifico settore in cui operava il
medico il che, chiaramente, richiedeva la conoscenza di leggi e procedure
scientifiche di settore.
Per le stesse ragioni, appariva assai difficile per il paziente provare che
proprio la condotta negligente e scorretta del medico avesse causato il danno e
non, ad esempio, altre cause sopravvenute straordinarie ed eccezionali.
Il medico allora appariva estremamente tutelato da quanto sancito dall’art. 2236
c.c., che prevede la responsabilità del debitore (medico) nei confronti del
creditore (paziente) solo quando quest’ultimo dimostri il dolo o la colpa grave
del soggetto inadempiente.
Non bastava, allora, un semplice errore del medico, ma era necessario che lo
stesso si qualificasse come grave e quindi riconoscibile come tale da qualunque
soggetto, anche privo di cognizioni mediche.
Ben presto, tuttavia, in virtù di questi ostacoli alla tutela del paziente che
apparivano estremamente vantaggiosi per il medico e che garantivano allo stesso
una costante impunità, dottrina e giurisprudenza studiarono soluzioni
alternative che potessero consentire al paziente, sulla base delle leggi
esistenti, una maggiore tutela e ciò anche per porre un freno ai numerosi casi
di malasanità che hanno colpito con una certa frequenza il nostro paese negli
ultimi anni.
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Al fine di predisporre una maggiore tutela per il paziente, la
distinzione tra obbligazione di mezzi e di risultato è stata messa in
discussione sulla base della ragionevole considerazione che non esiste nessuna
norma di legge nel nostro ordinamento che contenga una simile classificazione.
Si è allora precisato che l’obbligazione del medico è, al contempo, una
obbligazione di mezzi e una obbligazione di risultato, il cui contenuto è dato
sia dall’obbligo di diligenza che dall’obbligo di informazione del paziente.
Quanto al risultato, si è precisato che questo non deve essere inteso come
guarigione del paziente ma come dovere di fornire al paziente tutte le cure
richieste dalla specifica patologia che lo interessa, tenendo conto del livello
della scienza e della tecnica in un determinato settore, dell’età del paziente,
nonché della specifica difficoltà dell’intervento. (Sezioni Unite Corte di
Cassazione, n. 577/2008).
Quanto al grado di diligenza da richiedersi al medico, si è ancora precisato che
il sanitario non può essere tenuto alla diligenza che si può pretendere da una
persona mediamente avveduta e prudente, ovvero la c.d. diligenza del buon padre
di famiglia, bensì ad una diligenza professionale qualificata dalla specifica
attività esercitata.
Essa allora sarà maggiore e più ampia di quella richiesta per l’uomo medio.
A sostegno della bontà di quanto appena sostenuto, si riporta l’art. 1176, comma
2, c.c., secondo cui: “Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti
all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con
riguardo alla natura dell’attività esercitata”.
Sul punto, la Cassazione, con una recente sentenza (n. 17143/2012), ha precisato
che con riferimento al medico, occorre distinguere tra una diligenza
professionale generica ed una diligenza professionale specifica. La diligenza
professionale generica è quella richiesta al medico di base o medico generale
mentre la diligenza professionale specifica è quella richiesta al medico
specializzato in un determinato settore.
Ne consegue, dunque, che se un paziente riporti una frattura e venga sottoposto
alle cure di un medico di base, da quest’ultimo si pretenderà una diligenza
sicuramente minore rispetto a quella richiesta ad un ortopedico.
Gli interventi di routine e gli interventi difficili:
Per quel che riguarda il contenuto dell’attività richiesta al medico, la
dottrina e la giurisprudenza hanno distinto tra interventi difficili ed
interventi facili o di routine.
Con riferimento a questi ultimi, si è precisato che in caso di errore medico che
cagioni un pregiudizio alla salute del paziente, il medico risponde anche a
titolo di colpa generica e di colpa lieve.
Con riferimento poi agli interventi di difficile soluzione, che presentino ampi
margini di rischio, che richiedano una notevole abilità oppure che riguardino
malattie estremamente rare o per le quali non è stata ancora sperimentata una
terapia che porti alla guarigione, il medico incorre in responsabilità solo in
caso di dolo o colpa grave.
Gli interventi di chirurgia estetica:
Per tali tipi di intervento, la giurisprudenza si è spinta ancora oltre,
affermando che anche per particolari interventi di routine quali quelli di
chirurgia estetica, il medico è gravato di un obbligo di risultato puro e
semplice.
A tal proposito, la Cassazione ha riconosciuto un obbligo di risultato nei
seguenti casi:
1) Trattamento di chirurgia estetica (Cass. Civ., Sez. III, n. 10014/94);
2) Trapianto di capelli (Tribunale di Roma, sentenza del 23.12.1996);
3) Sterilizzazione (Cass. civ. Sez. III, n. 9617/1999);
4) Cure odontoiatriche (Tribunale di Genova, sentenza del 15.04.1993).
In caso di dubbi l'Avvocato Busco dello Studio legale Busco di Milano potrà
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Quanto poi alla difficoltà del paziente, privo di cognizioni mediche, di provare
la negligenza e/o imperizia professionale del medico, è stato precisato che il
paziente danneggiato deve limitarsi a provare soltanto che è stato preso in cura
da quel determinato medico e che ha subito un danno alla propria salute.
Per danno alla salute si intende anche solo il peggioramento del proprio stato
di salute ovvero nel senso di mancato miglioramento dello stesso, specie negli
interventi estetici. Al contrario, spetterà al medico dimostrare che
quest’ultimo ha agito bene secondo la diligenza professionale richiesta dal caso
concreto e che il peggioramento dello stato di salute del paziente è dovuto ad
un fattore eccezionale non imputabile alla sua condotta.
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Il rapporto che intercorre tra medico e paziente è a tutti gli effetti un
contratto.
ad esso, pertanto, va applicata la disciplina sul rapporto contrattuale di modo
che ai sensi dell'art. 1218 c.c., “Il debitore che non esegue esattamente la
prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che
l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della
prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.
Non ha, allora, alcuna importanza che tra medico e paziente non vi sia un
contratto scritto, ai fini di qualificare la responsabilità medica come
responsabilità contrattuale.
Nel caso del medico, infatti, è stabilito che anche in assenza di un contratto
scritto tra lui ed il paziente, il medico, nel momento in cui gli viene affidato
in cura il paziente, non è semplicemente obbligato ad adempiere un dovere
generico di non arrecargli alcun danno, ma è tenuto ad una condotta attiva, in
virtù di un c.d. contatto sociale qualificato, che genera doveri di protezione
del medico verso il paziente senza che sia necessario un contratto.
Tale ipotesi, peraltro, è assai diffusa nella prassi, atteso che il paziente
generalmente stipula un contratto di assistenza con una struttura sanitaria
presso cui lavora il medico che lo prenderà in cura.
In tal modo la struttura sanitaria, complessivamente intesa, si obbliga
formalmente a garantire alloggio, servizi di ristorazione, infermieristici
nonché la custodia del paziente stesso.
Ed allora, il paziente che abbia riportato una menomazione psicofisica alla sua
salute, potrà agire per il risarcimento del danno sia nei confronti della
struttura sanitaria, pubblica o privata, alla quale si sia rivolto, sia nei
confronti del medico che gli abbia prestato le cure all’interno della stessa,
con la doverosa precisazione, però, che non potrà essere risarcito due volte per
lo stesso fatto, sicché il risarcimento ottenuto da uno dei due debitori (medico
o struttura sanitaria) esaurisce la sua pretesa risarcitoria nei confronti
dell’altro.
Ne consegue, quindi, che anche nel caso di interventi particolarmente difficili,
il paziente non dovrà provare la colpa grave o il dolo del medico, ma li dovrà
semplicemente allegare.
Ciò significa, quindi, che non dovrà enunciare gli aspetti tecnici della
responsabilità professionale del medico, ma sarà sufficiente la contestazione
dell’aspetto colposo dell’attività medica e sarà onere del medico provare
l’assenza di colpa, la diligenza professionale nell’attività espletata, la non
riconducibilità e l’eventuale causa eccezionale, o comunque non imputabile al
medico, che abbia eventualmente determinato il danno a carico del paziente.
A causa del particolare tecnicismo della materia, è sempre opportuno oltreché
consigliabile rivolgersi ad un avvocato.
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invitandovi comunque a mettervi in contatto con l'Avvocato Gianni Busco dello
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Ulteriore obbligo a carico del medico nei confronti del paziente è quello di
informazione. Tale obbligo discende direttamente dalla natura contrattuale della
responsabilità del medico (anche senza formale contratto con il paziente) ed è
un obbligo che caratterizza tutta la fase del rapporto con il paziente, sia
quella preventiva che quella esecutiva della somministrazione della cura nonché,
da ultimo, quella successiva all’intervento medico.
L'obbligo di informare il paziente:
Di conseguenza, il medico è tenuto ad informare il paziente sia nella fase della
diagnosi, ovvero dell’individuazione del tipo di malattia che interessa il
paziente, sia in quella successiva, nella quale deve indicare non solo la
terapia che il paziente deve seguire ma anche prospettare gli effetti,
svantaggiosi e vantaggiosi, che da tale terapia possano scaturire per il
paziente, ivi compresi quelli collaterali nonché la probabilità di successo e la
prospettazione di eventuali cure alternative a quella prescritta.
il consenso informato:
L’insieme di questi obblighi rientranti nel generale obbligo di informazione è
finalizzato al soddisfacimento del diritto al c.d. consenso informato del
paziente, che è un diritto di credito che vanta il paziente nei confronti del
medico e consiste nel far acquisire al paziente tutte le informazioni necessarie
al fine di scegliere, in modo del tutto consapevole e libero, se sottoporsi o
meno ed in quali termini ad un determinato trattamento terapeutico e di
autodeterminarsi in completa autonomia nella decisione riguardante la propria
salute.
Sino ad un recente passato, si riteneva che la violazione dell’obbligo di
informazione da parte del medico costituisse causa di risarcimento del danno
solo nella misura in cui si verificassero a danno del paziente eventi lesivi del
proprio stato di salute a seguito di errore medico.
In questo modo, tuttavia, l’obbligo di informazione si confondeva con l’obbligo
di diligenza e non veniva tutelato adeguatamente il paziente ogniqualvolta, pur
in presenza di un intervento medico correttamente eseguito, quest’ultimo non
fosse stato preventivamente informato dal medico degli effetti collaterali che
sarebbero scaturiti da quello stesso intervento.
Tuttavia, la più recente giurisprudenza, sulla base di quanto suggerito dalla
migliore dottrina, ha chiarito definitivamente che la violazione dell’obbligo di
informazione costituisce autonoma fonte di responsabilità in tutti i casi in cui
dall’intervento scaturiscano effetti lesivi per il paziente, indipendentemente
dal fatto che l’intervento sia stato eseguito correttamente e diligentemente.
E’ del tutto indifferente, quindi, ai fini della responsabilità del medico per
violazione del diritto del paziente al c.d. consenso informato, il buon esito
dell’intervento, ma è sufficiente che il paziente non abbia usufruito delle
informazioni a lui necessarie per valutare consapevolmente ciò a cui doveva
andare incontro, ivi compresi eventuali effetti collaterali.
In base a questo principio, ad esempio, è sicuramente responsabile il medico che
abbia somministrato un antidepressivo al paziente senza averlo preventivamente
informato delle conseguenze cui quest’ultimo sarebbe andato incontro in termini
di aumento di peso o di aumento del tasso di sonnolenza.
La prova:
Quanto poi alla prova che deve fornire il paziente in un giudizio civile in cui
contesti al medico responsabilità per violazione del consenso informato, in
linea con quanto detto in precedenza relativamente all’obbligo di diligenza, non
sarà il paziente a dover dimostrare che non è stato preventivamente informato,
ma è il medico che deve fornire la prova di aver informato il paziente.
tale informazione dovrà avvenire attraverso l’esibizione di moduli prestampati
di consensi informati debitamente sottoscritti, con la precisazione che detta
sottoscrizione non esonera affatto il medico dal fornire al paziente tutte
quelle informazioni adeguate verbali, che tengano conto del livello culturale ed
intellettuale del paziente destinatario.
L'evoluzione interpretativa che ha portato a privilegiare la tutela del
paziente può permetterci di affermare che oggi, a differenza del passato, è più
facile per il paziente esercitare i propri diritti.
Ed allora, nei casi di violazione degli obblighi di diligenza professionale e di
informazione del medico il paziente potrà agire per richiedere il risarcimento
del danno anche senza aver preventivamente sottoscritto un contratto.
Tale richiesta dovrà essere presentata entro il termine di dieci anni dal giorno
in cui si verifichi un danno a suo carico per effetto di negligenza
professionale o di omessa informazione del medico.
In questi casi, e nel caso abbiate subito un danno per malasanità, Avvocato
Milano
vi suggerisce di rivolgervi ad un Avvocato in modo da poter scegliere con
prudenza e consapevolezza la strada migliore da seguire.
In caso di ulteriori dubbi potrete rivolgervi all'Avvocato Gianni Busco dello
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L'Avvocato Gianni Busco dello Studio legale Busco di Milano riceve a:
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