Avvocato Milano - Malasanità: Responsabilità del medico

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Tradizionalmente, l’obbligo del medico che assume in cura un paziente è stato sempre concepito non come il dovere di far conseguire al paziente il risultato sperato, consistente nella guarigione o comunque in un miglioramento del proprio stato di salute, ma semplicemente come impegno ad un comportamento professionalmente adeguato.
tale impegno, espressione dello standard medio richiesto dal suo settore di competenza, va riferito allo specifico caso clinico sottoposto alla sua attenzione indipendentemente dal raggiungimento o meno della guarigione e/o del miglioramento della salute del paziente.
Alla luce di queste considerazioni, sino ai primi anni 90’, dottrina e giurisprudenza erano concordi nel ritenere che a carico del medico sussistesse un obbligazione di mezzi nei confronti del paziente e non anche un obbligazione di risultato.


Obbligazione di mezzi:
Si definisce obbligazione di mezzi l’obbligo giuridico di garantire una corretta e diligente esecuzione di una determinata opera ma non anche il risultato cui l’attività è finalizzata; conseguentemente, il mancato raggiungimento del risultato non comporta nessun inadempimento e nessuna responsabilità del soggetto che ha realizzato la condotta.

Obbligazione di risultato:
Si definisce obbligazione di risultato l’obbligo giuridico di raggiungere il risultato promesso, con la conseguenza che solo in questo momento il debitore sarà liberato e potrà ottenere, se previsto, il compenso per l'attività svolta.
Tuttavia, tale impostazione, con riferimento all’attività sanitaria, comportando a carico del medico una semplice obbligazione di mezzi, si rivelava assai svantaggiosa per il paziente e ciò per tre ragioni fondamentali.


 

 

Avvocato Milano: onere della prova e la richiesta di risarcimento per malasanità

Seguendo il precedente orientamento, il paziente che riteneva di aver subito un danno e che intendesse richiedere un risarcimento del danno subito, avrebbe dovuto dimostrare non tanto l’esito infausto dell’intervento medico bensì lo scorretto e negligente esercizio da parte del medico della propria attività, in violazione delle leggi scientifiche del suo settore.
Avrebbe poi dovuto fornire l’ulteriore dimostrazione che il danno subito fosse stato causato proprio dallo specifico comportamento negligente del medico. Questo legame tra la condotta del medico ed il danno subito dal paziente viene giuridicamente definito nesso di causalità.
In terzo luogo, anche laddove fosse riuscito a fornire tali prove, il paziente avrebbe dovuto dimostrare che il medico avesse agito con dolo o colpa grave e, quindi, con consapevolezza e volontà da parte del medico di arrecare un danno ovvero per errore, negligenza, imperizia o colpa.
A sostegno di tale interpretazione trovava generale applicazione l’art. 2236 c.c., secondo cui “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, il prestatore d’opera (nel nostro caso il medico) non risponde dei danni, se non nel caso di dolo o di colpa grave”.
La casistica riportata dalla giurisprudenza in tema di colpa grave del medico è estremamente ampia riportiamo, di seguito, i casi più eclatanti:
1) Medico che abbia somministrato anestetico locale, rivelatosi fatale per il paziente, senza aver previamente accertato le condizioni del paziente (Cass. n. 2141/1988);
2) Medico specializzato in ortopedia per aver provato un intervento di alta chirurgia neoplastica (Cass. 2428/1990);
3) Medico che abbia omesso di informare una donna sul possibile esito negativo dell’intervento abortivo cui si era sottoposta, nel caso in cui il paziente, dopo l’intervento, aveva abbandonato l’ospedale (Cass. n. 6464/1994);
4) Medico che abbia omesso di rilevare una fattura del femore (Cass. n. 8845/1995);
5) Medico primario che, essendo in ferie, abbia ritardato un intervento indifferibile, causando danno al paziente (Corte dei Conti, n. 100/A 1996);
6) Medico che, chiamato ad intervenire chirurgicamente sul trasferimento del seno, decida di esportare intera ghiandola mammaria senza preventivamente seguire un esame istologico intraterapeutico (Cass. n. 1233/1998);
7) Medico che non abbia controllato la completezza e l’esattezza del contenuto della cartella clinica redatta dai colleghi di pronto soccorso (Cass. 12273/2004);
8) Medico che abbia affidato ad un inesperto assistente sociale un malato grave di mente, nel caso di suicidio del malato non può invocare, quale causa eccezionale, il deficit di sorveglianza del malato da parte dell’assistente sociale (Cass. n. 10435/2004);
9) Caso di scuola dottrinale: garza dimenticata nello stomaco del paziente operato di pancreatite.


La difficoltà della prova nei casi di malasanità:
A fronte dell’eccezionalità dei casi di colpa grave del medico, si capisce bene che per il paziente che avesse subito un danno risultava difficilissimo dimostrare la responsabilità del medico.
Poiché il paziente avrebbe dovuto dar prova della negligenza nell'esercizio dell’attività medica secondo le regole dello specifico settore in cui operava il medico il che, chiaramente, richiedeva la conoscenza di leggi e procedure scientifiche di settore.

Per le stesse ragioni, appariva assai difficile per il paziente provare che proprio la condotta negligente e scorretta del medico avesse causato il danno e non, ad esempio, altre cause sopravvenute straordinarie ed eccezionali.
Il medico allora appariva estremamente tutelato da quanto sancito dall’art. 2236 c.c., che prevede la responsabilità del debitore (medico) nei confronti del creditore (paziente) solo quando quest’ultimo dimostri il dolo o la colpa grave del soggetto inadempiente.
Non bastava, allora, un semplice errore del medico, ma era necessario che lo stesso si qualificasse come grave e quindi riconoscibile come tale da qualunque soggetto, anche privo di cognizioni mediche.
Ben presto, tuttavia, in virtù di questi ostacoli alla tutela del paziente che apparivano estremamente vantaggiosi per il medico e che garantivano allo stesso una costante impunità, dottrina e giurisprudenza studiarono soluzioni alternative che potessero consentire al paziente, sulla base delle leggi esistenti, una maggiore tutela e ciò anche per porre un freno ai numerosi casi di malasanità che hanno colpito con una certa frequenza il nostro paese negli ultimi anni.
Nel caso in cui le informazioni della rubrica non fossero sufficienti sarà nostra cura rispondere alle vostre domande.
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Ricordate che nel caso in cui abbiate subito un danno è consigliabile rivolgersi ad un Avvocato che potrà agire nel vostro interesse affinché possiate ricevere la giusta tutela.
Rivolgendovi ad Avvocato Milano ed inviando una mail all'Avvocato Gianni Busco dello studio legale Busco di Milano, potrete avere informazioni utili sul da farsi.


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Avvocato Milano: la tutela del paziente - nel passato - nei casi di malasanità

Al fine di predisporre una maggiore tutela per il paziente, la distinzione tra obbligazione di mezzi e di risultato è stata messa in discussione sulla base della ragionevole considerazione che non esiste nessuna norma di legge nel nostro ordinamento che contenga una simile classificazione.
Si è allora precisato che l’obbligazione del medico è, al contempo, una obbligazione di mezzi e una obbligazione di risultato, il cui contenuto è dato sia dall’obbligo di diligenza che dall’obbligo di informazione del paziente.

Quanto al risultato, si è precisato che questo non deve essere inteso come guarigione del paziente ma come dovere di fornire al paziente tutte le cure richieste dalla specifica patologia che lo interessa, tenendo conto del livello della scienza e della tecnica in un determinato settore, dell’età del paziente, nonché della specifica difficoltà dell’intervento. (Sezioni Unite Corte di Cassazione, n. 577/2008).
Quanto al grado di diligenza da richiedersi al medico, si è ancora precisato che il sanitario non può essere tenuto alla diligenza che si può pretendere da una persona mediamente avveduta e prudente, ovvero la c.d. diligenza del buon padre di famiglia, bensì ad una diligenza professionale qualificata dalla specifica attività esercitata.
Essa allora sarà maggiore e più ampia di quella richiesta per l’uomo medio.
A sostegno della bontà di quanto appena sostenuto, si riporta l’art. 1176, comma 2, c.c., secondo cui: “Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”.

Sul punto, la Cassazione, con una recente sentenza (n. 17143/2012), ha precisato che con riferimento al medico, occorre distinguere tra una diligenza professionale generica ed una diligenza professionale specifica. La diligenza professionale generica è quella richiesta al medico di base o medico generale mentre la diligenza professionale specifica è quella richiesta al medico specializzato in un determinato settore.

Ne consegue, dunque, che se un paziente riporti una frattura e venga sottoposto alle cure di un medico di base, da quest’ultimo si pretenderà una diligenza sicuramente minore rispetto a quella richiesta ad un ortopedico.

Gli interventi di routine e gli interventi difficili:
Per quel che riguarda il contenuto dell’attività richiesta al medico, la dottrina e la giurisprudenza hanno distinto tra interventi difficili ed interventi facili o di routine.
Con riferimento a questi ultimi, si è precisato che in caso di errore medico che cagioni un pregiudizio alla salute del paziente, il medico risponde anche a titolo di colpa generica e di colpa lieve.
Con riferimento poi agli interventi di difficile soluzione, che presentino ampi margini di rischio, che richiedano una notevole abilità oppure che riguardino malattie estremamente rare o per le quali non è stata ancora sperimentata una terapia che porti alla guarigione, il medico incorre in responsabilità solo in caso di dolo o colpa grave.

Gli interventi di chirurgia estetica:
Per tali tipi di intervento, la giurisprudenza si è spinta ancora oltre, affermando che anche per particolari interventi di routine quali quelli di chirurgia estetica, il medico è gravato di un obbligo di risultato puro e semplice.
A tal proposito, la Cassazione ha riconosciuto un obbligo di risultato nei seguenti casi:

1) Trattamento di chirurgia estetica (Cass. Civ., Sez. III, n. 10014/94);
2) Trapianto di capelli (Tribunale di Roma, sentenza del 23.12.1996);
3) Sterilizzazione (Cass. civ. Sez. III, n. 9617/1999);
4) Cure odontoiatriche (Tribunale di Genova, sentenza del 15.04.1993).

In caso di dubbi l'Avvocato Busco dello Studio legale Busco di Milano potrà darvi ulteriori chiarimenti.
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Avvocato Milano: la responsabilità contrattuale del medico nei casi di malasanità

Quanto poi alla difficoltà del paziente, privo di cognizioni mediche, di provare la negligenza e/o imperizia professionale del medico, è stato precisato che il paziente danneggiato deve limitarsi a provare soltanto che è stato preso in cura da quel determinato medico e che ha subito un danno alla propria salute.
Per danno alla salute si intende anche solo il peggioramento del proprio stato di salute ovvero nel senso di mancato miglioramento dello stesso, specie negli interventi estetici. Al contrario, spetterà al medico dimostrare che quest’ultimo ha agito bene secondo la diligenza professionale richiesta dal caso concreto e che il peggioramento dello stato di salute del paziente è dovuto ad un fattore eccezionale non imputabile alla sua condotta.

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Avvocato Milano: il contratto "non scritto" tra medico e paziente

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Il rapporto che intercorre tra medico e paziente è a tutti gli effetti un contratto.
ad esso, pertanto, va applicata la disciplina sul rapporto contrattuale di modo che ai sensi dell'art. 1218 c.c., “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.
Non ha, allora, alcuna importanza che tra medico e paziente non vi sia un contratto scritto, ai fini di qualificare la responsabilità medica come responsabilità contrattuale.
Nel caso del medico, infatti, è stabilito che anche in assenza di un contratto scritto tra lui ed il paziente, il medico, nel momento in cui gli viene affidato in cura il paziente, non è semplicemente obbligato ad adempiere un dovere generico di non arrecargli alcun danno, ma è tenuto ad una condotta attiva, in virtù di un c.d. contatto sociale qualificato, che genera doveri di protezione del medico verso il paziente senza che sia necessario un contratto.

Tale ipotesi, peraltro, è assai diffusa nella prassi, atteso che il paziente generalmente stipula un contratto di assistenza con una struttura sanitaria presso cui lavora il medico che lo prenderà in cura.
In tal modo la struttura sanitaria, complessivamente intesa, si obbliga formalmente a garantire alloggio, servizi di ristorazione, infermieristici nonché la custodia del paziente stesso.
Ed allora, il paziente che abbia riportato una menomazione psicofisica alla sua salute, potrà agire per il risarcimento del danno sia nei confronti della struttura sanitaria, pubblica o privata, alla quale si sia rivolto, sia nei confronti del medico che gli abbia prestato le cure all’interno della stessa, con la doverosa precisazione, però, che non potrà essere risarcito due volte per lo stesso fatto, sicché il risarcimento ottenuto da uno dei due debitori (medico o struttura sanitaria) esaurisce la sua pretesa risarcitoria nei confronti dell’altro.

Ne consegue, quindi, che anche nel caso di interventi particolarmente difficili, il paziente non dovrà provare la colpa grave o il dolo del medico, ma li dovrà semplicemente allegare.
Ciò significa, quindi, che non dovrà enunciare gli aspetti tecnici della responsabilità professionale del medico, ma sarà sufficiente la contestazione dell’aspetto colposo dell’attività medica e sarà onere del medico provare l’assenza di colpa, la diligenza professionale nell’attività espletata, la non riconducibilità e l’eventuale causa eccezionale, o comunque non imputabile al medico, che abbia eventualmente determinato il danno a carico del paziente.


A causa del particolare tecnicismo della materia, è sempre opportuno oltreché consigliabile rivolgersi ad un avvocato.
Lo spazio web Avvocato Milano intende darvi alcune informazioni di massima invitandovi comunque a mettervi in contatto con l'Avvocato Gianni Busco dello Studio legale Busco di Milano per ricevere ulteriori spiegazioni.
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Avvocato Milano: l'obbligo di informazione - il consenso informato

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Ulteriore obbligo a carico del medico nei confronti del paziente è quello di informazione. Tale obbligo discende direttamente dalla natura contrattuale della responsabilità del medico (anche senza formale contratto con il paziente) ed è un obbligo che caratterizza tutta la fase del rapporto con il paziente, sia quella preventiva che quella esecutiva della somministrazione della cura nonché, da ultimo, quella successiva all’intervento medico.

L'obbligo di informare il paziente:
Di conseguenza, il medico è tenuto ad informare il paziente sia nella fase della diagnosi, ovvero dell’individuazione del tipo di malattia che interessa il paziente, sia in quella successiva, nella quale deve indicare non solo la terapia che il paziente deve seguire ma anche prospettare gli effetti, svantaggiosi e vantaggiosi, che da tale terapia possano scaturire per il paziente, ivi compresi quelli collaterali nonché la probabilità di successo e la prospettazione di eventuali cure alternative a quella prescritta.

il consenso informato:
L’insieme di questi obblighi rientranti nel generale obbligo di informazione è finalizzato al soddisfacimento del diritto al c.d. consenso informato del paziente, che è un diritto di credito che vanta il paziente nei confronti del medico e consiste nel far acquisire al paziente tutte le informazioni necessarie al fine di scegliere, in modo del tutto consapevole e libero, se sottoporsi o meno ed in quali termini ad un determinato trattamento terapeutico e di autodeterminarsi in completa autonomia nella decisione riguardante la propria salute.
Sino ad un recente passato, si riteneva che la violazione dell’obbligo di informazione da parte del medico costituisse causa di risarcimento del danno solo nella misura in cui si verificassero a danno del paziente eventi lesivi del proprio stato di salute a seguito di errore medico.
In questo modo, tuttavia, l’obbligo di informazione si confondeva con l’obbligo di diligenza e non veniva tutelato adeguatamente il paziente ogniqualvolta, pur in presenza di un intervento medico correttamente eseguito, quest’ultimo non fosse stato preventivamente informato dal medico degli effetti collaterali che sarebbero scaturiti da quello stesso intervento.
Tuttavia, la più recente giurisprudenza, sulla base di quanto suggerito dalla migliore dottrina, ha chiarito definitivamente che la violazione dell’obbligo di informazione costituisce autonoma fonte di responsabilità in tutti i casi in cui dall’intervento scaturiscano effetti lesivi per il paziente, indipendentemente dal fatto che l’intervento sia stato eseguito correttamente e diligentemente.
E’ del tutto indifferente, quindi, ai fini della responsabilità del medico per violazione del diritto del paziente al c.d. consenso informato, il buon esito dell’intervento, ma è sufficiente che il paziente non abbia usufruito delle informazioni a lui necessarie per valutare consapevolmente ciò a cui doveva andare incontro, ivi compresi eventuali effetti collaterali.
In base a questo principio, ad esempio, è sicuramente responsabile il medico che abbia somministrato un antidepressivo al paziente senza averlo preventivamente informato delle conseguenze cui quest’ultimo sarebbe andato incontro in termini di aumento di peso o di aumento del tasso di sonnolenza.


La prova:
Quanto poi alla prova che deve fornire il paziente in un giudizio civile in cui contesti al medico responsabilità per violazione del consenso informato, in linea con quanto detto in precedenza relativamente all’obbligo di diligenza, non sarà il paziente a dover dimostrare che non è stato preventivamente informato, ma è il medico che deve fornire la prova di aver informato il paziente.
tale informazione dovrà avvenire attraverso l’esibizione di moduli prestampati di consensi informati debitamente sottoscritti, con la precisazione che detta sottoscrizione non esonera affatto il medico dal fornire al paziente tutte quelle informazioni adeguate verbali, che tengano conto del livello culturale ed intellettuale del paziente destinatario.


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Avvocato Milano: la tutela del paziente - oggi - nei casi di malasanità

L'evoluzione interpretativa che ha portato a privilegiare la tutela del paziente può permetterci di affermare che oggi, a differenza del passato, è più facile per il paziente esercitare i propri diritti.
Ed allora, nei casi di violazione degli obblighi di diligenza professionale e di informazione del medico il paziente potrà agire per richiedere il risarcimento del danno anche senza aver preventivamente sottoscritto un contratto.
Tale richiesta dovrà essere presentata entro il termine di dieci anni dal giorno in cui si verifichi un danno a suo carico per effetto di negligenza professionale o di omessa informazione del medico.

In questi casi, e nel caso abbiate subito un danno per malasanità, Avvocato Milano vi suggerisce di rivolgervi ad un Avvocato in modo da poter scegliere con prudenza e consapevolezza la strada migliore da seguire.
In caso di ulteriori dubbi potrete rivolgervi all'Avvocato Gianni Busco dello Studio legale Busco di Milano per ricevere ulteriori chiarimenti ed informazioni.

L'Avvocato Gianni Busco dello Studio legale Busco di Milano riceve a:

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